Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
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Alex (del 14/09/2012 @ 20:09:18, in
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In un delicato periodo come quello che stiamo affrontando sotto tutti i punti di vista, sociale, economico ed ambientale credo dobbiamo essere più responsabili nelle azioni che facciamo ogni giorno.
In tale ottica non sembra andare la battuta di pesca organizzata dall’Adriatic Intn’l Sportfishing Tournament ad Ancona per il 14-15-16 Settembre presso il locale degli Amici del mare di Ancona a Marina Dorica.
Per l’evento è previsto l’arrivo di squadre da tutto il mondo , essendo questa un’anteprima nazionale di pesca al Tonno rosso nelle acque dell’Adriatico.
Tale iniziativa prevede un contest (competizione) di pesca ai tonni rossi tramite la tecnica dello Spinning ed il successivo rilascio in vivo dell’animale (tecnica conosciuta come catch&release).
Competizione permessa grazie alla modifica apportata con Decreto Ministeriale 19 Giugno 2012 che autorizzano la pesca Catch&Release del tonno indipendentemente dalla disponibilità di quote per la pesca ricreativa, dal periodo di chiusura e dalla organizzazione di manifestazioni agonistiche.
La grande novità è che ora è permesso per i pescatori ricreativi autorizzati alla pesca del tonno rosso, indirizzare la loro pesca a questa specie durante tutto l’anno, fatto salvo l’obbligo di rilascio delle catture.
E il periodo riproduttivo? Ci sarebbe questo aspetto molto delicato da considerare e che invece non viene affatto menzionato. Sì perché si dà il caso che la natura abbia dei cicli che sono interdipendenti e quindi anche la maturazione gonadica delle specie ittiche dipende da cofattori quali ad esempio la temperatura dell’acqua.
E l'acqua del mare Adriatico durante la primavera, ufficialmente la loro stagione riproduttiva, si è mantenuta insolitamente fredda date le abbondanti nevicate invernali e le incursioni di aria fredda a maggio che hanno fatto scendere le temperature medie anche di 6° sotto la norma.
Dunque solo da giugno la temperatura del mare si e' portata sui 24°C, temperatura necessaria per la maturazione gonadica e quindi l’inizio del loro periodo riproduttivo.
Certo è invece, che lo stress da pesca ha effetti notevoli sulla riproduzione, con il conseguente mancato rilascio delle uova in mare.
«Cambiano i nomi ma non la sostanza. Dietro l’eufemismo catch&release (cattura e libera) si nascondono le stesse crudeltà della pesca tradizionale. Recenti studi scientifici infatti, tra cui quello dell’università Macquarie di Sydney o del Comitato di Bioetica norvegese, hanno infatti dimostrato che la cattura all’amo dei pesci e la loro successiva restituzione alle acque non è meno dannosa, per la salute degli animali, al punto da provocarne spesso la morte». Lo fa sapere l’Ente protezione animali (Enpa) a proposito dei Giochi mondiali di pesca sportiva.
«Pensare che i pesci non siano animali intelligenti è un errore tanto grave quanto grossolano – spiega il direttore scientifico dell’Enpa, Ilaria Ferri. Alcune specie hanno addirittura capacità cognitive uguali se non superiori a quelle di alcuni primati».
«Quando abboccano all’amo, i pesci vengono sottoposti a un’intensa forma di stress psicologico – sottolinea – causato non soltanto dal dolore fisico ma anche dal non riuscire a comprendere cosa gli stia effettivamente capitando. Per non parlare poi del soffocamento provocato dall’eradicazione dal loro ambiente naturale. Per loro l’acqua – continua – è tanto vitale quanto lo è per noi l’aria».
Tanta crudeltà e senza nemmeno l’attenuante della ricerca di cibo.
I Gre delle Marche sottolineano come sia le ferite causate dall’amo sia quelle provocate dagli stessi pescatori nel tentativo di rimuoverlo spesso risultino anche letali. «Il contatto con le mani del pescatore altera spesso irrimediabilmente – prosegue la nota dell’Enpa – lo strato protettivo che ne ricopre le squame; … Il risultato è sempre lo stesso: inducono nell’animale un atroce stato di sofferenza».»
Ed il fatto che l’industria della pesca abbia sviluppato ami, cosiddetti, cruelty free avvalora, semmai ce ne fosse bisogno, la tesi secondo cui questa pratica risulti assolutamente crudele.
Senza contare i danni causati anche ad altre specie animali che possono venire in contatto con gli ami o con i materiali usati per il catch&release. «Della pesca sportiva non si sente proprio il bisogno – conclude Ferri – a meno che non si voglia assestare un colpo mortale alla biodiversità del pianeta già gravemente minacciata dalle attività umane».
Il tempo di cattura prolungato può provocare esaurimento fisico caratterizzato da acidosi marcata e da altre risposte fisiologiche negative. Alcune conseguenze dello stress causato dal C&R, anche se in modo non uniforme nelle diverse specie, possono essere: riduzione della crescita, compromissione del successo riproduttivo e aumentata suscettibilità alle malattie ed agli agenti patogeni.
Quando i pesci vengono catturati e recuperati rapidamente da acque profonde subiscono lesioni da depressurizzazione (barotrauma). Volendo rilasciare pesci pescati in profondità occorre recuperarli lentamente, per farli acclimatare alla differente pressione che c’è tra la profondità in cui sono stati pescati e la superficie.
Il successo del rilascio dipende anche dalla temperatura. La mortalità è maggiore con temperature molto basse o molto alte e con l’esposizione all'aria quando questa abbia una temperatura molto diversa da quella dell'acqua. L'esposizione all'aria deve essere in ogni modo minimizzata così come i tempi di recupero del pesce catturato.
La nostra temperatura corporea è di gran lunga superiore a quella dei pesci ed il nostro sudore particolarmente acido: questo potrebbe indurre la formazioni di ulcere, successivo focolaio di infezioni, favorendo inoltre il contagio di batteri e miceti saprofiti che possono essere patogeni per i pesci.
C’è dunque da porsi un interrogativo etico sul risvolto materiale di tali iniziative riguardo l’impatto che hanno sulla biodiversità marina e degli ecosistemi acquatici.
Tanto più che il Governo italiano nel 2010, appoggiava la decisione del Parlamento europeo di inserire il tonno rosso nella lista delle specie protette dalla Convenzione dell’Onu per fauna e flora selvatiche in via di estinzione.
Alessandro Neri per I Gre delle Marche
Fonti :
Decreto Ministeriale : http://www.pescaricreativa.org/docs/lexit/DM19062012.pdf
Empa : http://www3.lastampa.it/lazampa/articolo/lstp/418467/
Pescaricreativa : http://www.pescaricreativa.org/notizie/articoli/item/214-catch-release.html
Guida Catch & Release : http://www.pescaricreativa.org/docs/BFT/guidaCR.pdf
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Alex (del 11/09/2012 @ 16:08:34, in
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Si è svolta Domenica 9 Settembre 2012 in concomitanza con la Festa del Mare ad Ancona la liberazione della tartaruga marina Piemonte. L’esemplare di Caretta caretta liberato oggi è stato ritrovato in fin di vita più di un anno fa lungo le coste di Porto Recanati. Dopo una lunga degenza nel Centro ricoveri della fondazione Cetacea di Riccione, oggi ha ritrovato la libertà ad un miglio dalle coste del Trave, a ridosso del Monte Conero.
La reintroduzione di Piemonte in mare rientra nelle attività dalla Rete Regionale per la Conservazione della tartaruga marina, istituita per tale proposito dalla Regione Marche nel 2010.
Una Rete che annovera tra i soci: la Regione Marche, la Capitaneria di Porto, il Corpo Forestale dello Stato, i Parchi Costieri, il Cnr-Ismar ed anche la Fondazione Cetacea di Riccione che ha il compito di curare e riabilitare le tartarughe ritrovate nel territorio marchigiano.
La tartaruga, chiamata Piemonte in omaggio ai 150 anni dell'Unità d'Italia, era stata rinvenuta il 26 Febbraio 2011 a Porto Recanati dal Dott. Luca Amico della Protezione Civile di Numana.
Piemonte è stata poi adottata da una scolaresca così da avvicinare i bambini alle magiche creature che popolano il nostro mare.
Al momento del ritrovamento, l’animale di modeste dimensioni, avente dai 5-7 anni di età, non era in grado di nuotare e fortemente traumatizzata. La tartaruga presentava infatti una grave ferita, probabilmente dovuta ad un morso da parte di qualche grande predatore, alla pinna natatoria anteriore sinistra. Da sottolineare in tal senso, lo straordinario recupero di funzionalità dell’arto grazie all’uso di tecniche innovative quale la laser terapia, che ha consentito il pieno recupero della pinna.
Piemonte è dunque in primis un forte messaggio in nome della tutela del mare da parte dell’uomo. L’antropizzazione delle nostre coste và attentamente monitorata per consentire la sopravvivenza e la tutela di specie a serio rischio, come le tartarughe marine, e consentire loro di vivere seguendo i loro istinti primordiali come fanno da milioni di anni.
La tartaruga deve essere una riappropriazione di un simbolo, il nostro mare, che necessita dell’impegno di tutti per poterlo consegnare intatto nel suo splendore, come noi l’abbiamo trovato, alle future generazioni.
Da segnalare purtroppo il ritrovamento, durante il rientro in porto, di due esemplari di tartarughe morte, di medie dimensioni, in avanzato stato di decomposizione.
Un esemplare dei due è stato recuperato per ulteriori accertamenti.
Dunque il problema c’è ed è da affrontare con ogni mezzo in nostro possesso.
Verso questo proposito da ricordare l’accordo tra Regione Marche e Capitaneria di porto di Ancona, che ha messo a disposizione il numero 1515 del Corpo Forestale, per segnalare l’avvistamento di esemplari in difficoltà.
Alessandro Neri per I Gre delle Marche
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Alex (del 04/09/2012 @ 22:06:45, in
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Sulla scia della tartaruga marina
Trame narrative
Si è svolto Sabato 1 Settembre nella sala dello splendido palazzo della Loggia dei Mercanti ad Ancona l’incontro, organizzato dalla Rete regionale per la conservazione della tartaruga marina , “Traversando il nostro mar, sulla scia della tartaruga marina”. L’evento, organizzato dalla Regione Marche nell’ambito del Festival Adriatico Mediterraneo ha proposto un’accurata riflessione dei rapporti uomo-mare in ambito ambientale,culturale, sociale ed economico.
Adriatico come Mare che unisce e divide il mondo occidentale ed orientale, mare spesso definito piccolo e limitato dal punto di vista spaziale ma immenso e sconfinato per storia, cultura e tradizioni che vi sono confluite nel tempo.
L’evento, coordinato dal Dirigente Servizio Ambiente della Regione Marche, Claudio Zabaglia ha soffermato l’attenzione sul significato comune che questo bacino d’acqua rappresenta per i milioni di persone affacciati alle sue coste, ma anche per la straordinaria, immensa moltitudine di altri esseri viventi che ospita nel suo grembo.
All’evento ha preso parte anche l’assessore alla Difesa della costa, Paolo Eusebi. “Anche quest’anno “, ha detto Eusebi , “la Regione Marche ha organizzato iniziative per valorizzare l’ambiente marino in rapporto a un animale simbolo: la tartaruga marina, destinataria di particolare tutela da parte della Rete regionale di Enti e Associazioni appositamente costituitasi nel 2010. Scelta come specie tutelata dalla Comunità europea per la sua valenza nell’ecosistema marino. Le tartarughe marine sono le protagoniste di una storia millenaria nel Mare Nostrum, che da oltre 300 milioni di anni solcano verso tutte le direttrici secondo il loro ciclo biologico. Parallelamente possiamo accostare alle sue peregrinazioni, le traiettorie della civiltà umana nel promuovere commerci, sviluppare tecnologie, scambiare conoscenze, diffondere arte”.
Lanfranco Giacchetti, Commissario straordinario dell’ente Parco del Conero, ha ribadito l’importanza del nostro territorio come punto focale di biodiversità e la primaria necessità di tutelare oltre alla terra ferma anche l’ambiente marino con la realizzazione dell’Area Marina Protetta del Conero. Occasione da concretizzare ancora di più visto che quest’anno il Parco del Conero è capofila della Rete di conservazione della tartaruga marina.
Tra i relatori il Biologo Marino Carlo Cerrano, docente di Zoologia presso l’Università Politecnica delle Marche, ha soffermato il suo discorso sulla tutela della biodiversità per conservare gli ambienti marini e le delicate reti trofiche che esistono, anche in fondali sabbiosi quali quelli dell’Adriatico, che troppo spesso l’impatto antropico danneggia irreparabilmente. Danno che ha fatto si che, ai giorni nostri, il tasso di estinzione è incrementato di 1000 volte rispetto al passato.
Perfettamente in linea col tema il confronto tra drastico calo della biodiversità animale e vegetale e quella linguistica, considerando che il 50-90% delle lingue del mondo sparirà entro fine secolo con conseguente impoverimento culturale.
E’ stata la volta poi del poeta Francesco Scarabicchi ed il saggista d’arte Rodolfo Bersaglia che hanno offerto una splendida panoramica dell’Adriatico come intricato tessuto tra presente e passato di arte, poesia e cultura spaziando da Saba al poeta locale Franco Scataglini, da Lotto a Giorgio di Matteo, artefice in buona parte dell’attuale Loggia dei Mercanti, sede dell’iniziativa.
L’incontro si è concluso con l’intervento dell’Ambasciatore Fabio Pigliapoco, Segretario generale dell’Iniziativa Adriatico – Ionica, che ha ribadito l’importanza di Ancona come centro di cooperazione in Adriatico. Cooperazione rafforzata con la costituzione della Carta di Ancona a Maggio 2010 e la successiva istituzione della Macroregione Adriatica nel 2010.
Sforzo comune dei paesi aderenti all’ IAI (Iniziativa Adriatico-Ionica) è la creazione di una macroregione capace di creare progresso e benessere, grazie alla difesa di un vulnerabile ecosistema marino che deve affrontare numerose sfide ambientali, oltre ad una crescente urbanizzazione.
Alessandro Neri per I Gre delle Marche
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Admin (del 08/08/2012 @ 00:11:01, in
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La liberazione della tartaruga Sammy nel tratto di mare antistante al porto di Senigallia.
Ci sono quelle giornate un po’ così, improvvisate, quell’attesa di stare per vivere una bellissima esperienza di mare, e questo non ad Honolulu,senza nulla togliere, ma il tutto si svolge qui, nel mare di casa nostra, l’Adriatico.
La protagonista della giornata è Sammy, uno splendido esemplare di Caretta caretta di circa dieci anni, recuperata lo scorso inverno in ipotermia lungo le coste senigalliesi assieme ad altre diciotto tartarughe.
La giornata, organizzata con la concomitante presenza al porto di Senigallia di Goletta verde, ha visto la concreta sinergia di splendide realtà.
La reintroduzione di Sally in mare, infatti, rientra nelle attività dalla Rete Regionale per la Conservazione della tartaruga marina, nata nel 2010.
Una Rete che annovera tra i soci: la Regione Marche, la Capitaneria di Porto, il Corpo Forestale dello Stato, i Parchi Costieri, il Cnr-Ismar ed anche la Fondazione Cetacea di Riccione col compito di curare e riabilitare le tartarughe ritrovate nel territorio marchigiano, alfine di poterle reinserire, quando possibile, nel loro habitat originario.
La liberazione è stata effettuata a due miglia dalla costa di Senigallia con un gommone della Guardia costiera affiancato da altre due imbarcazioni di supporto su cui erano presenti l’equipaggio della Goletta Verde, volontari di Legambiente e giornalisti, oltre al sottoscritto.
Il tratto di mare verso la liberazione di Sammy è stato accompagnato inoltre dai ragazzi della scuola di vela Sailinsenigallia.
Alessandro Neri – Comitato Tecnico Scientifico de’ I Gre delle Marche
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A proposito delle giornata, Legambienteha scritto:
“Il messaggio che Goletta Verde ha voluto lanciare oggi con la liberazione di questo bellissimo esemplare di Caretta Caretta – commentano Marcella Cuomo e Francesco Brega di Legambiente Marche -, è quello di mettere in atto tutte le sinergie possibili per tutelare il patrimonio naturale, soprattutto in una regione come la nostra dove il mare e le coste giocano un ruolo importantissimo per l’economia e per il turismo”.
“Crediamo fortemente che solo lavorando di concerto, si possano raggiungere buoni risultati e proprio per questo salutiamo con entusiasmo tutte le realtà che facendo rete si prefiggono l’obiettivo di difendere il bene comune da ogni tipo di minaccia, tutelando il patrimonio ambientale a 360 gradi, con politiche attente ed azioni mirate. In questo – concludono Cuomo e Brega -, ci auguriamo che le amministrazioni possano essere di sostegno al mondo dell’associazionismo“.
Di
Admin (del 15/05/2012 @ 11:26:14, in
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ADRIATICO – UN MARE DI BOMBE
Proiettili all’uranio impoverito, cluster bomb, missili Tomahawk, granate al fosforo, bombe a guida laser ed addirittura siluri. Parliamo di 20 mila ordigni con caricamento speciale a base di aggressivi chimici. Ed ogni tanto, sulla battigia, da Grado a Gallipoli affiorano ordigni di ogni genere.
Sino a una trentina di anni fa, riferisce l'Icram (Istituto per la ricerca scientifica e tecnologica applicata al mare) , la pratica corrente di smaltimento di munizionamento militare obsoleto era l'affondamento in mare. Molti residuati del secondo conflitto mondiale hanno seguito questa sorte.
Da un articolo de “la Repubblica del 13 Febbraio 2000 leggiamo:
“Oltre 64mila ordigni sono stati recuperati dalla Marina militare in una vasta area dell' Adriatico dal 2 settembre ' 96 ad oggi. Ma ne resterebbero più del doppio in fondo al mare. Lo ha reso noto il presidente del Consiglio Massimo D' Alema parlando nell' Università di Ancona. Il premier ha chiarito che si tratta di ordigni risalenti anche alla prima e alla Seconda guerra mondiale.”
Si tratta di bombe chimiche a base di sostanze letali come l'iprite, l'arsenico e forse anche l'uranio impoverito, che stanno devastando il patrimonio ittico e l'ambiente marino.
C'è un dossier dell'Icram , che rappresenta il risultato di due anni ('98-99) di indagini in mare e di campionamento ed analisi delle acque e dei pesci. L'area prescelta è il tratto di mare esteso 10 miglia nautiche che si trova a 35 miglia al largo di Molfetta.
«I fondali indagati», recita il rapporto finale del coordinatore delle indagini Ezio Amato, «costituiscono una delle quattro aree di affondamento individuate. Ma quante altre aree di affondamento ci sono in Adriatico? Impossibile saperlo: le autorità militari non forniscono informazioni, tutto giace top secret. È certo, invece, che il caricamento dei 20 mila ordigni individuati dall'Icram è costituito da aggressivi a base di iprite e composti di arsenico. In totale, sono state individuate «24 diverse sostanze costituenti il caricamento speciale; di queste, 18 sono persistenti e in grado di esercitare effetti nocivi sull'ambiente».
In alcuni casi l'aggressivo chimico è conservato in bidoni anch'essi adagiati sui fondali, e che, a causa della corrosione, continuano a rilasciare sostanze letali.
Alcune tra esse sono vescicanti (iprite e lewisite); asfissianti (fosgene e difosgene); irritanti (adamsite); tossici della funzione cellulare (ossido di carbonio e acido cianidrico). A seconda dei casi, queste sostanze provocano la distruzione delle cellule umane, attaccando occhi, pelle e apparato respiratorio; alterano la trasmissione degli stimoli nervosi. Negli organismi che ne entrano in contatto, siano esse allo stato liquido o gassoso, le sostanze provocano bruciore, edema, congiuntiviti, congestioni in naso, gola, trachea e bronchi, danni polmonari cronici e asfissia.
Sono state scientificamente provate anche le alterazioni genetiche e le aberrazioni cromosomiche. Studi approfonditi sugli effetti sull'uomo sono stati realizzati dal professor Giorgio Assennato dell'Università di Bari, che ha condotto un'indagine su 232 pescatori pugliesi vittime di incidenti tra il 1946 e il '94. Che si verificano quasi sempre durante la pesca a strascico, tecnica che spazza i fondali imbrigliando gli ordigni nelle reti. Le conseguenze peggiori avvengono per l'esposizione agli agenti tossici, attraverso l'inalazione dei vapori e il contatto cutaneo. Quando non c'è un danno immediato agli occhi, è il sistema respiratorio ad accusare i sintomi più evidenti dell'intossicazione: «Dolore toracico, tosse, ipofonia e faringodinia», scrive nel suo studio Assennato.
Seguono tachipnea e broncospasmo a distanza di circa 12 ore. Esposizioni gravi producono la morte per insufficienza respiratoria, polmonite e soprattutto, tumori. Questo per l'uomo.
Riguardo ai danni provocati nell'ambiente marino, lo studio dell'Icram è chiaro. I campioni prelevati dai ricercatori, acqua, sedimenti e pesci, «sono stati sottoposti a quattro diverse metodologie d'analisi che indicano la sussistenza di danni e rischi per gli ecosistemi marini determinati da inquinanti persistenti rilasciati dai residuati corrosi». In particolare, grazie ai confronti con esemplari della stessa specie prelevati nel Tirreno meridionale, le analisi hanno rivelato nei pesci dell'Adriatico «tracce significative di arsenico e derivati dell'iprite». Particolarmente rilevanti «le alterazioni a carico di milza e fegato». Le alterazioni epatiche più frequenti sono state la presenza di steatosi e alterazione focale della colorazione. Per quanto riguarda la milza è stato osservato un «aumento di volume, consistenza diminuita e presenza di noduli».
Altre alterazioni a carattere più sporadico sono state riscontrate a carico delle branchie con presenza di erosioni e emorragie. È stata anche riscontrata la presenza di parassiti in branchie, cavità addominale e tessuto cutaneo». Cosa significa tutto questo in linguaggio meno tecnico? «Che i pesci dell'Adriatico», spiega Ezio Amato, «sono particolarmente soggetti all'insorgenza di tumori; subiscono danni all'apparato riproduttivo; sono esposti a vere e proprie mutazioni genetiche che portano a generare esemplari mostruosi». E non basta. Non essendoci limitazioni alle attività di pesca, questi pesci continuano a finire sulle tavole dei consumatori. Con quali conseguenze per la loro salute? Studi specifici non sono mai stati fatti. «I risultati ottenuti dalla nostra indagine su un piccolo campione», avverte Amato, «sono allarmanti».
La Marina militare italiana aveva annunciato la bonifica, promessa da vari governi che si sono succeduti, mentre in Parlamento centinaia di interrogazioni attendono risposte esaurienti.
Ed ogni tanto, chi lavora in mare, ci rimette la vita.
L’ultimo di una lunga serie di incidenti legati all’esplosione di ordigni bellici in Adriatico è accaduto il 26 Ottobre 2006.
Il peschereccio Rita Evelin, nuovo di zecca, affonda con mare calmo dinanzi alla costa marchigiana e tre pescatori vengono inghiottiti dal mare Adriatico. Il fascicolo di questo incidente è finito in una sottile cartellina, già impolverata come una noiosa pratica amministrativa.
I documenti riservati sono conservati, lontano da sguardi indiscreti ,negli archivi della Capitaneria portuale di San Benedetto del Tronto.
Sarà soltanto un caso, ma l’area del cosiddetto “incidente” coincide con una delle ventiquattro ampie zone in cui vengono affondate gli ordigni. Secondo il riscontro diretto da parte dei pescatori e dei relativi incidenti, non rari, sarebbero ventiquattro le aree e non sei come dichiarato dalla Nato.
Qui sono stati abbandonati un numero non ben stimato di ordigni da velivoli dell’Alleanza atlantica nel mare Adriatico di ritorno dai bombardamenti in Kosovo nel 1999.
Prima ancora in Bosnia Herzegovina nel 1994-’95.
Ma è soprattutto nel basso Adriatico che si registra la maggiore concentrazione di ordigni bellici. Soltanto a Molfetta, in un raggio di 500 metri dalla riva di Torre Gavettone (100 metri dalle abitazioni), «i sub della Marina militare ne hanno catalogati 110.000.
Mentre nel porto e nelle sue immediate adiacenze ce ne sono un numero imprecisato», rivelano un ufficiale e un sottufficiale. Il 22 settembre 2004, in un’interrogazione parlamentare del senatore Ds Franco Danieli al presidente del Consiglio dei ministri, si menziona la presenza in Adriatico oltre che di «residuati chimici della seconda guerra mondiale di produzione Usa», proibiti dalla Convenzione di Ginevra del 1925, soprattutto di « bombe a grappolo del tipo Blu-27 e proiettili all’uranio impoverito ». I premier di uno e dell’altro schieramento che si sono susseguiti nel tempo, non hanno mai risposto. Il senatore Danieli con tanto di prove fa riferimento anche al fatto che « ancora oggi, in alcune zone, oltre le 12 miglia marine (ad esempio al largo di Fasano in Puglia e Cupra al largo di Cupramarittima nelle Marche) vengono rilasciate in mare bombe o serbatoi ausiliari da aerei militari italiani in emergenza ». Il 25 maggio 1999, la poco nota deliberazione 239 del Consiglio regionale delle Marche prendeva atto che « in questo ultimo periodo è continuato lo sganciamento di bombe da parte di aerei Nato nell’Adriatico, anche a ridosso della costa marchigiana ».
Altro affondamento tra le Marche e l’Abruzzo di un altro peschereccio, il Vito Padre, avvenuto il 30 Maggio (due le vittime) mentre il 17 dicembre 2006, i flutti hanno sommerso il Maria Cristina provocando la morte di un lavoratore del mare. Come se non bastasse l’Adriatico è stato anche teatro di giochi di guerra della Nato. A farne le spese cinque pescatori italiani, i primi 4 risultano ancora abbandonati in fondo al mare, il quinto venne a galla subito dopo l’incidente.
La notte del 4 novembre 1994 ad affondare il peschereccio "Francesco Padre" di Molfetta nelle acque internazionali di fronte alla Puglia, è stato un ordigno bellico targato Nato.
Lo provano un’esercitazione dell’Alleanza Atlantica dagli esiti secretati, una perizia chimica, quattro relazioni tecniche. L’ispezione, filmata con un "Rov" (Remotely Operated Vehicle, minisommergibili filoguidati che possono scendere ad alte profondit) a 243 metri di profondità, mostra oltre ai cadaveri, un relitto integro, se non per uno squarcio a poppa via sinistra, provocato da un vettore esplosivo esterno.
Sulla vicenda tuttora pesa il più ferreo segreto di Stato, imposto dall’Autorità nazionale per la sicurezza. Il bollettino di guerra prosegue con 30 bombe non a grappolo ripescate a fine Febbraio nel golfo di Venezia. Ma nel medio e basso Adriatico i piloti Nato hanno avuto pochi scrupoli. Tra Pesaro e Ancona, nei paraggi delle piattaforme metanifere, dalle quali il gas raggiunge la raffineria Api di Falconara, si sono liberati di «tre ordigni a grappolo e di una decina di bombe a guida laser, lunghe quasi tre metri e mezzo e pesanti una tonnellata», precisano i dati delle Capitanerie di porto marchigiane. Mentre nella “Montagna del Sole”, a Rodi Garganico, San Menaio e Calenella, sono approdate tre bombe al fosforo di fabbricazione americana.
In situazioni d’emergenza i bombardieri alleati avrebbero dovuto gettarle per sicurezza ad almeno 70 miglia dalla costa, nelle cosiddette jettison areas. Invece un ordigno con la scritta “U.S. 97” è affiorato recentemente nella laguna di Marano, ad appena 6 miglia dalle foci del Tagliamento, fra Grado e Lignano Sabbiadoro.
Ad attestare la presenza di ordigni, all’uranio impoverito e non, sono le mappe e le coordinate della Nato, nonché i dati secretati dalla nostra Marina militare.
Se circa un terzo dei siti di scarico sono concentrati in Puglia, a Nord sono il Golfo di Trieste e la laguna di Venezia i principali bersagli di affondamento per i velivoli Nato a capacità di bombardamento nucleare, compresi i Tornado dell’Aeronautica italiana, stanziati ad Aviano e Ghedi. Ed ancora da un articolo pubblicato sul “ corriere.it ” il 17 Maggio 1999 leggiamo: "Purtroppo la Nato non ha rispettato la sovranità - ribadisce il sindaco di Ancona Galeazzi - infischiandosene che in questo tratto di mare viaggino un milione di persone e 150 mila Tir, che Ancona possegga la più grande flottiglia da pesca dell' Adriatico con 800 pescatori e 200 natanti.
D' altra parte questo della Nato sembra un vizietto: il 12 aprile due ufficiali medici Usa hanno effettuato un sopralluogo all' ospedale regionale delle Torrette, per verificare le potenzialità di assistenza in vista di un eventuale attacco terrestre; e il 19 aprile sempre ufficiali americani hanno ispezionato il porto in vista del suo utilizzo per il trasbordo di mezzi da guerra sull' altra sponda.
In tutti i due casi hanno tenuto all' oscuro sia me, sia, perfino, il sottosegretario alla difesa, anconetano, Paolo Guerini". La Convenzione di Barcellona, dal 1995, non consente la discarica definitiva a mare, nel Mediterraneo, di materiali che possono costituire pericolo per l’ambiente marino, per l’attività di pesca e per la navigazione e quindi l’abbandono definitivo di bombe o materiale esplosivo.
Rilasci di tali materiali, accidentali o motivati da condizioni di emergenza o da incidenti, devono comportare azioni di recupero, messa in sicurezza e bonifica delle aree interessate con verifica dei danni e conseguente azione di risanamento. “Dietro la reticenza c’è la logica di guerra, che tende sempre a nascondere gli effetti, le conseguenze che popolazioni e territori sono costretti a pagare”, così Elettra Deiana, vicepresidente della Commissione difesa alla Camera e componente della delegazione italiana presso l’Assemblea parlamentare dell’Alleanza Atlantica.
E’ notizia recente l’acquisto di 131 cacciabombardieri F35 che impegnerà il nostro paese fino al 2026 con una spesa di quasi 14 miliardi di euro. Chissà com’è che non si mette mai in bilancio un corrispettivo adeguato per riparare i danni provocati. Dunque il vizietto di gettare a mare scorie nocive ed onerose da smaltire con troppa leggerezza và avanti da diversi decenni ormai perpetrando l’omertà ed il silenzio di chi sa ma non dice.
Forti poi del fatto che i problemi si presenteranno alle prossime generazioni, viene instillata una logica consumistica e fredda di vilipendio della natura come discarica e magazzino a basso costo. Ma se è vero, come è stato ormai accertato, che l’uomo si inserisce in un modello olistico universale, dovremmo essere molto cauti nel compiere scelte simili. Con quale arroganza presenteremo una natura depauperata e scarna a chi verrà dopo di noi.
E fino a che punto atti criminali del genere rimarranno senza colpevoli?
La natura, dal canto suo, si è dimostrata comprensiva e fin troppo generosa verso colui che si è limitato ad usufruirne a proprio piacimento. E’ tempo che l’uomo espanda la propria coscienza e comprenda ciò che lo circonda se vuole continuare ad esserne custode e parte integrante.
Alessandro Neri
Comitato Tecnico Scientifico
I Gre delle Marche
Di
Admin (del 13/05/2012 @ 18:39:10, in
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TRASCRIZIONE INTEGRALE DELLA INTERVISTA DEL 22 LUGLIO 2011 SU RADIO ARANCIA AL PRESIDENTE SPACCA SULL’ELETTRODOTTO FANO-TERAMO
-Domanda: Il famoso elettrodotto Fano- Teramo. Direi di fare subito un piccolo cappello all’argomento
- Spacca: L’elettrodotto è un progetto che è stato presentato nel 2002 in Regione e bisogna fare una premessa: era un progetto che si fondava su una esigenza, una esigenza di dotare tutta l’Italia dell’energia necessaria per il suo sviluppo, perché che accadeva in quel periodo, che noi acquistavamo l’energia dai Paesi attorno a noi che la producevano attraverso le centrali nucleari e dal contorno, dalle Alpi, questa energia transitava progressivamente verso il Mezzogiorno.
Essendoci dei difetti di distribuzione succedeva che l’energia veniva pagata, e qui ho dati molto precisi su questo, 82 euro a MW per ora in Lombardia, nelle Marche il costo non era molto differente, perché era euro 82,5 euro per MW, ma lei andava in Sicilia e la trovava, quella energia, a 156 euro per MW, cioè il doppio di quella pagata.
-Giornalista: quindi una grossa sperequazione…
- Spacca: Una penalizzazione fortissima nei confronti delle regioni del Mezzogiorno, che vedevano accrescere il costo dell’energia 92, 98 fino alle156 euro della Sicilia.
Quindi era una richiesta nazionale, di solidarietà nazionale, di fare un elettrodotto che attraversasse l’Italia e portasse questa energia prodotta dalle centrali nucleari intorno al Paese verso il Mezzogiorno perché potesse svilupparsi. Adesso le cose sono molto cambiate però, nel senso che l’avvento di nuove tecnologie, soprattutto il discorso europeo di Europa 20 20, risparmio energetico, produzioni di energie rinnovabili sta dotando ogni territorio di una capacità di produzione autonoma e progressivamente sempre più elevata anche se ancora non si riesce a supplire all’ acquisto di energia prodotta all’esterno dell’Italia completamente.
- Giornalista: scusi la interrompo: nella presentazione che ha fatto Terna, ha comunque detto: noi abbiamo fatto uno scenario dove in un futuro ci sarà una maggiore richiesta anche da parte delle Marche di energia elettrica, non va proprio nella direzione di quello che mi sta dicendo lei…
-Spacca: sì, perché le Marche sono una delle regioni più industriali di Italia che stanno sviluppando, stanno crescendo pur nelle difficoltà di questo momento economico, con grande forza. Complessivamente tutta la comunità e non soltanto l’economia industriale va verso l’utilizzo di una maggiore quantità di energia, e noi ne abbiamo bisogno sempre di più, quindi anche se siamo arrivati a produrre 480 MW di energia fotovoltaico, da pannelli fotovoltaici, che è pari a una centrale turbogas che è tantissimo comunque abbiamo bisogno di energia.
Però ci sono nuove forme di organizzazione di sistemi energetici, di distribuzione energetica, le cosiddette tecnologie grid, a rete, che possono consentire di valutare meglio rispetto al 2002 l’impatto di un elettrodotto ad alta tensione di così grande portata. Parte che stiamo analizzando ..
- Giornalista: Lei mi sta dicendo, mi fa comprendere che forse c’è uno spiraglio che può essere utile ma può essere anche sostituibile, questo progetto.
- Spacca: ma per lo meno può essere valutato con una prospettiva differente da quella del 2002-2005, quando le condizioni erano quelle soprattutto legate alla produzione di centrali di energia nucleare.
- Giornalista: quindi la interrompo, per essere più precisi: possiamo dire che questo carattere di perentorietà della decisione non esiste, in questo momento?
- Spacca: Beh, sicuramente noi abbiamo più capacità contrattuale rispetto al bisogno di un Paese così come ci veniva presentato nel 2002-2005; abbiamo la possibilità di discutere con Terna sulle caratteristiche di questo elettrodotto, sulle possibilità di un suo interramento molto maggiore di quello che fino ad oggi la società non ha previsto, abbiamo la possibilità di fare delle valutazioni molto più approfondite in termini proprio di logistica dell’elettrodotto, abbiamo la possibilità di richiedere le compensazioni per i cittadini e per le comunità, abbiamo la possibilità di valutare il progetto con una attenzione ulteriore rispetto a una fase che ancora, non lo dimentichiamo, è una fase di progetto preliminare.
-Giornalista: Allora, io, proprio per interpretare tutte le domande che ci sono arrivate in redazione, la giunta e lei personalmente siete ben consapevoli che comunque può essere un’opera necessaria ma può essere anche sostituibile da altre tecnologie (perché ce l’hanno chiesto, questo), ma sapete anche perfettamente che anche può avere un impatto sul paesaggio.
-Spacca: Assolutamente sì, abbiamo fatto del paesaggio il principale asset delle Marche del futuro…
-Giornalista: Ecco, non è che non ne siete a conoscenza, lo dico presidente per le domande che ci fanno… Voi siete a conoscenza che l’elettrodotto ha un forte impatto sul territorio e siete anche a conoscenza che da dei problemi per quanto riguarda la salute, sul discorso dei campi elettromagnetici.
-Spacca: Infatti il progetto quando passerà dalla sua fase preliminare alla fase diciamo più tecnica dovrà essere valutato sicuramente su questi aspetti, su tutti questi aspetti che riguardano la sicurezza dei cittadini da ogni punto di vista, dal punto di vista innanzitutto della salute, però i problemi non sono mai bianchi o neri, non è possibile mai arrivare a una decisione tutta di un tipo o tutto di una altra nel senso che sia favorevole o contraria, bisogna sempre trovare un equilibrio rispetto alle esigenze di sviluppo e di dotazione di energia che la nostra comunità, ma in questo caso soprattutto nel nostro Paese, perché non è giusto che in Sicilia l’energia costi 156 euro a MW orario e quindi bisogna trovare delle soluzioni che siano in qualche modo in linea anche con quelle che sono le politiche europee.
Quindi, Siamo in una fase di valutazione molto attenta e la stiamo facendo in accordo con le comunità locali, ascoltando anche il parere dei Sindaci e dei Comuni che ne sono coinvolti, cercando un dialogo con loro, quando naturalmente questo non è ispirato a principi di assoluta pregiudizialità, nel senso che se si dice noi non lo vogliamo punto e basta, allora a quel punto lì non è possibile superare la necessità della riflessione.
-Giornalista: non a caso si parla di sviluppo sostenibile … Le faccio l’ultima domanda e quella che forse ritengo più cattivella: perché i cittadini sono venuti a conoscenza solo ora del progetto, quando il protocollo di intesa tra la Regione e Terna risale al 2005?
-Spacca: Ma il progetto è del 2002 quindi sono passati dieci anni, di questo se ne è parlato in mille occasioni, ci sono stati anche dei seminari e dei convegni di riflessione con i Comuni, tutti i Comuni hanno già espresso in prima battuta le loro valutazioni, hanno una posizione abbastanza chiara sull’argomento, per lo meno consapevole, quindi i giornali ne hanno parlato più volte, più volte questo argomento è stato oggetto di special anche sui quotidiani marchigiani, quindi il problema è che i comitati viaggiano in modo molto emotivo e si accendono e si spengono, in questo ultimo periodo di tempo per la verità si accendono con maggiore rapidità di quanto non sia lo sviluppo di una riflessione razionale.
-Giornalista: Presidente, la ringrazio.
Di
Admin (del 02/05/2012 @ 21:29:15, in
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Nell’anno 2012 che senso ha prevedere a Montorso di Loreto, vicino a quella spianata nota alla gran parte degli italiani come la “spianata del Papa”, in un comune che non ha bisogni abitativi... ...una nuova lottizzazione di circa 30.000 metri cubi in una area prevista a tutela marina integrale ai sensi degli artt. 31 e 32 delle norme tecniche di attuazione del Piano Paesistico Ambientale Regionale fatte proprie dal PRG, nell’area della ex fornace Hoffmann, riconosciuto esempio di archeologia industriale?
Questa è la domanda che si sono poste le sette principali associazioni ambientaliste delle Marche (a cui si è aggiunta anche la Polis Nova di Recanati) che le ha portate a richiedere per iscritto:
- al Comune di Loreto di porre fine alla cementificazione del territorio di Montorso (dove, ultima notizia, è previsto anche l'arrivo di un McDonald's proprio in località Pizzardeto) rinunciando alla lottizzazione e pensando ad un effettivo intervento di recupero conservativo della fornace con l’essiccatoio ed i suoi edifici storici, per un uso compatibile
- alla Provincia di Ancona ed alla Regione Marche di verificare che la bonifica ambientale del 2007 in quei luoghi sia stata fatta nel pieno rispetto della L. 152/2006 e di esigere una VAS anche per tutte le modifiche urbanistiche portate avanti dal 2008 in poi nell'area di Montorso negando la necessaria autorizzazione idrogeologica.
Come si può ignorare che una area di tutela marina integrale venga trasformata in area di edilizia residenziale per oltre 30.000 metri cubi di cemento senza valutare le conseguenze sull'ambiente
- alla Soprintendenza ai Beni Paesaggistici ed Architettonici ed alla Direzione Regionale Marche del Ministero per i Beni Culturali, di voler intervenire con un vincolo specifico sulla fornace Hoffmann e di negare la autorizzazione paesaggistica su una area che aveva ed ha tutt'altra vocazione, come rilevabile dal Piano Paesistico Ambientale Regionale e dal Piano Regolatore Generale, versione anno 2006
- Al Corpo Forestale dello Stato di tutelare il bosco attualmente esistente nell'area ed evitarne la brutale l'eliminazione in favore della
assurda cementificazione.
da: http://www.vivereosimo.it/index.php?page=articolo&articolo_id=349625
Di
Admin (del 23/04/2012 @ 17:58:18, in
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Montignano di Senigallia, 22 aprile 2012
Nel primo pomeriggio quello che tutti i volontari de "I Gre delle Marche" e del "Centro Falconeria Equitazione Etologica" speravano si è verificato.
Nel cielo, coperto dalle nuvole, uno stormo di diciassette cicogne si è presentato sui campi che circondano la sede dell'associazione.
Il sempre vigile Gianni Papa, questa volta ha battuto sul tempo l'inossidabile Giulietto Giulivi, autore delle fotografie nelle due precedenti visite: il 30 marzo e il 7 aprile.
Con questo di oggi sono ben quattro le ricognizioni delle cicogne sul sito che presto sarà in grado di ospitarle.
Di una non abbiamo la documentazione fotografica ma la testimonianza di Andrea Luzi, responsabile del Centro di Falconeria.
Intanto si apprestano i lavori per la realizzazione dello stagno e di altri posatoi per nidificazione.
Si attendono, inoltre, le risposte di alcune aziende interpellate per la sponsorizzazione. Una di queste, una casa cinematografica, potrebbe anche decidere di girarci un cartone animato che servirà poi, anche, per la divulgazione nelle scuole, della vita di questi splendidi uccelli.
Godiamoci, per ora, le immagini di questo evento straordinario che dimostra come la zona sia idonea per ospitare le cicogne.
Questa volta non si sono fermate, pensiamo, sia per le condizioni meteo, sia perché lo spazio non è ancora allestito a dovere e per un numero così elevato non consentiva una sosta. Lavoreremo affinché possano non solo sostare ma decidere di ... prendere la residenza. Grazie anche a coloro che continueranno ad aiutarci ed a coloro che decideranno di farlo. Grande cosa, questa.
Massimo Guido Conte
foto di Gianni Papa
Di
Admin (del 14/04/2012 @ 18:24:25, in
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"Pasqualina super star" diventa un libro che racconta tutta la vicenda. Con le foto di Giulietto Giulivi. Per prenotazioni - e sponsorizzazioni - scrivere a info@igredellemarche.org
Le cicogne tornano a fermarsi a Senigallia. La primavera è periodo di migrazioni e tra i tanti uccelli che dall'Africa giungono in Europa per la riproduzione ci sono anche le cicogne. Uno splendido esemplare sabato scorso ha fatto la sua comparsa a Montignano dove sembra aver gradito le premure che l'associazione “Cavalieri dell'Alto Volo”, affiliata a I Gre delle Marche (Gruppi di Ricerca Ecologica), ha predisposto al Centro Falconeria Equitazione Etologica “Lady Hawk”, in località Campetto, sede dei volontari dove già trovano “alloggio” una 15ina di rapaci tra falchi, poiane e gufi.
Pasqualina, come è stata ribattezzata vista la concomitanza con la festività, ha trovato ad attenderla delle sagome di legno che riproducono suoi simili, il cibo lasciato dai volontari e un palo per nidi.
Attorno a lei uno spazio di 35 chilometri quadrati di colline e tanto verde. Sabato ha girato per un paio d'ore guardando le sagome dall'alto per poi fermarsi sul campo. Ha mangiato e poi ha ripreso il volo. Martedì è tornata a farsi viva verso sera.
La speranza dell'associazione è che si possa sentire a suo agio da scegliere la zona per nidificare. Sarebbe un gradito ritorno per Senigallia. Fino a una decina di anni fa questi splendidi uccelli si fermavano anche da queste parti nelle loro migrazioni primaverili e autunnali. L'antropizzazione, le coltivazioni intensive ma anche i cambiamenti climatici hanno spezzato questo equilibrio che ora si tenta, non senza fatica, di riconquistare.
L'obiettivo di Simona Proietti di Valerio e Andrea Luzi, responsabili del Centro, è quello di ricreare un habitat adatto con zone umide (in cantiere un laghetto) e l'acquisto di una coppia di esemplari addomesticati che fungano da "richiamo".
L'arrivo di Pasqualina, immortalato nelle foto di Giulietto Giulivi, uno dei fondatori dell'associazione, è un primo segnale che il lavoro sta procedendo bene. In più c'è anche l'idea di coinvolgere istituzioni, scuole e privati per far conoscere ai bambini questi magnifici animali.
Sia allestendo un percorso didattico con fotografie e punti di avvistamento presso la sede del Centro e sia con lezioni a tema in aula. Come quella che oggi, giovedì 12, Andrea Luzi ha tenuto alla scuola materna Giardino del Sole, in via Cupetta.
Un progetto denominato "A Senigallia le cicogne le portano i bambini".
“Un tempo questi uccelli facevano il nido sui tetti delle case che per la nascita di un bambino erano tenuto più calde delle altre – spiega Massimo Guido Conte, responsabile regionale de I Gre delle Marche – E' da qui che nasce la leggenda sui neonati portati dalle cicogne. Oggi che questi volatili sono in difficoltà, vogliamo sensibilizzare le nuove generazioni. I bambini di oggi saranno gli uomini di domani e a loro andrà il compito di tutelare anche questi animali”.