Molte caratteristiche di questi insetti fanno di loro un ottimo indicatore ecologico. Le api sono facili da allevare, si adattano in diversi tipi di ambiente, non hanno particolari esigenze alimentari, i peli sul loro corpo permettono di intercettare una buona quantità di agenti materiali e sostanze, sono altamente sensibili agli agenti inquinanti presenti nell’atmosfera (in particolare agli antiparassitari), hanno un’elevata mobilità e un ampio raggio di volo, e infine effettuano numerosi prelievi giornalieri su tutti i settori ambientali.
In più, producono un alimento prelibato e ricco di benefici e sostanze nutritive.
Negli scorsi anni, i media hanno spesso raccontato delle morie di intere colonie di api negli Stati Uniti, in Europa in Giappone, attribuendone la causa ad una misteriosa malattia dalle cause sconosciute. Ma il quotidiano scientifico Science rivela che le drastiche distruzioni di intere colonie di api non sono così inusuali, e si sono verificate periodicamente nell’arco dei secoli in diversi tipi di ambiente. Secondo il quotidiano, la preoccupazione per le api da miele negli Stati Uniti sarebbe ingigantita dal loro ruolo vitale nel campo dell’agricoltura.
Ma che cosa sta uccidendo intere colonie di api in tutto il mondo, e quali sono le implicazioni per l’agricoltura?
Tra l’estate del 2006 e la primavera del 2007 vennero trovati moltissimi alveari senza api adulte al loro interno, ma solo larve e cibo. Fu immediato pensare ad una nuova violenta patologia, e in assenza di una causa conosciuta le venne attribuito il nome di “Disturbo da Collasso di Colonia”.
Che cosa abbiamo imparato da quel momento? Questi sintomi sono davvero nuovi?
Il primo rapporto annuale del Comitato Guida sul Disturbo da Collasso di Colonia suggerisce che sia improbabile considerare la CCD come causata da un patogeno sconosciuto in precedenza. Piuttosto, sarebbe causato da una combinazione di agenti: l’interazione tra noti pesticidi e patogeni, condizioni ambientali povere che impoveriscono a loro volta il foraggio, mancanza di nutrimento, fattori di gestione come l’uso di pesticidi e lo stress causato dal trasporto su lunga distanza degli alveari alle fonti di nettare o luoghi di impollinazione. Gli sforzi per ridurre al minimo i fattori che potrebbero causare la morte di intere colonie non mancano: in Europa il COLOSS (COlony LOSS) network, che consiste in 161 membri di 40 paesi nel mondo, sta coordinando gli sforzi della ricerca e le attività scientifiche e l’ industria dell’apicoltura per indirizzare questi e altri risultati collegati alle perdite delle api da miele, inclusa la CCD.
L'Ue ha modificato l'apposito elenco delle sostanze attive contenute nella direttiva europea relativa all'immissione in commercio dei prodotti fitosanitari. L'impiego di tali sostanze può infatti comportare la presenza di residui nei prodotti trattati, negli animali nutriti con tali prodotti e nel miele delle api esposte a tali sostanze. Residui dunque che spesso hanno un'elevata tossicità. Gli stati membri dovranno adottare e pubblicare entro il 31 ottobre 2010 le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi alla nuova direttiva. In Italia infine si è da poco concluso il XXVII Convegno nazionale “Benessere dell’Alveare”, in cui si sono trovati degli importanti punti d’incontro tra ministero della salute e associazioni di settore: tra le cose già fatte a favore del comparto apistico c’è l’imposizione da parte del ministero della sospensiva sui neonicotinoidi.
Esemplare è il caso dell'acido ossalico, un prodotto che appartiene alla categoria degli acidi organici e da circa venti anni viene in ausilio degli apicoltori perché è tra le poche molecole efficaci nella lotta contro la varroa, uno tra i parassiti più pericolosi per le api. Non tutti sanno però che quasi tutto l' acido ossalico presente sul mercato si differenzia in prodotto per uso farmaceutico e in prodotto per uso industriale. Quest'ultimo, molto più economico, può avere residui elevati di metalli pesanti che rischiano di trasferirsi al miele compromettendo la qualità del prodotto destinato ai consumatori, ma anche la salute stessa dell’apicoltore, quando la somministrazione avviene mediante sublimazione. Di qui la cautela di alcune autorità sanitarie che richiedono l'introduzione di ricettazione, distribuzione e somministrazione controllata.
Gordon Wardell ha un dottorato di ricerca in entomologia, e si può di fatto considerare un dottore delle api: le studia da circa trent’anni, e studia la CCd da quando è comparsa. In questo periodo dell’anno adora starsene tra i fiori di mandorle nella valle di San Joaquin in California, ascoltando il lieve e caldo ronzio di milioni di api. Ma queste api non sono felici come sembra dal loro rumore, e questo è il motivo per cui Wardell si trova lì. Più dell’80% delle mandorle del mondo crescono in California e, per impollinarle, i quasi 7000 agricoltori affittano circa un milione e mezzo di alveari commerciali. A febbraio migliaia di camion trasportano gli alveari in California, per poi riportarli in tutti i paesi dai quali sono venuti a impollinazione avvenuta. Dal 2006, le api hanno iniziato a soffrire di questa misteriosa CCD (Malattia da Collasso della Colonia), che ne ha drasticamente ridotto il numero. Come risultato il prezzo di noleggio di un alveare si è triplicato, arrivando a sfiorare i 150$, sostiene il presidente della Paramount Farming, la più grande azienda al mondo nella coltivazione delle mandorle. Così la Paramount ha assunto Wardell, che ha studiato per 30 anni le api e la CCD da quando è saltata fuori.
In assenza di una spiegazione chiara e rapida a tutti i quesiti sull’origine di questa malattia, Wardell si è concentrato su qualcosa di diverso: il nutrimento. Un’ape operaia sana spende circa quattro settimane nel suo alveare, nutrendosi di polline ricco di proteine e accudendo le larve, e poi altre due settimane nei campi, dopo le quali le sue riserve proteiche si esauriscono ed essa muore. Per qualche motivo, forse i cambiamenti climatici repentini, le api stanno assumendo troppe poche proteine nell’alveare, morendo quindi dopo solo quattro settimane, praticamente non appena si avventurano nel mondo esterno. Così Wardell ha pensato di provare a forzare nelle api l’assunzione di proteine. Registrata come MegaBee, simile all’impasto di un biscotto e ricco appunto di proteine, l’invenzione di Wardell viene posizionata nell’alveare, bloccando l’entrata alle api, in modo che esse lo debbano mangiare per liberare l’ingresso. Wardell sta lavorando con gli apicoltori di tutto il paese per implementare la dieta delle api. Fino ad ora i risultati sono stati discreti: alcuni alveari sono ancora collassati o risultano più piccoli di altri, ma secondo lo scienziato ci sono buone speranze che i suoi biscotti funzionino, provocando più di un lieve ronzio l’anno prossimo.
Fonti: Economist, Greenreport, Resiliance Science, University of Sussex
integralmente da: "effettoterra.org"